di Carlo Longo
L’Argentina di Javier Milei affronta una nuova emergenza economica. Washington interviene con una linea swap da 20 miliardi di dollari per sostenere il peso e frenare la fuga di capitali
Nonostante il cambio di strategia e le promesse di stabilità, l’Argentina guidata da Javier Milei torna a fare i conti con la fragilità del proprio sistema economico. Dopo mesi di tensioni sui mercati, Washington è intervenuta annunciando una linea di swap da 20 miliardi di dollari e la disponibilità ad acquistare bond argentini in valuta estera.
L’iniziativa statunitense ha bloccato temporaneamente la fuga dal peso e riportato un po’ di fiducia sui mercati, ma a Buenos Aires la paura di una nuova svalutazione resta alta. Milei, che aveva promesso la parità tra peso e dollaro come simbolo della rinascita economica, si trova ora a chiedere aiuto proprio agli Stati Uniti per evitare un collasso del sistema finanziario.
Venti mesi di riforme e un bilancio in pareggio
Durante i suoi 20 mesi di governo, Milei ha mantenuto parte delle sue promesse: l’inflazione mensile è scesa dal 12,8% a meno del 2%, la spesa pubblica è stata drasticamente ridotta e migliaia di dipendenti statali sono stati licenziati.
Il risultato è un pareggio di bilancio raggiunto per la prima volta dopo dieci anni di deficit, ma la fragilità strutturale dell’economia argentina non è scomparsa. La bilancia dei pagamenti è tornata in rosso: nel secondo trimestre del 2025 il deficit ha superato i tre miliardi di dollari, spinto soprattutto dal peso crescente degli interessi sul debito estero.
I tre nodi dell’economia argentina
Il primo squilibrio riguarda l’export agricolo, pilastro delle entrate in valuta del Paese. Prodotti come soia e mais rappresentano oltre la metà delle esportazioni, e ogni variazione dei prezzi internazionali si riflette immediatamente sul saldo esterno.
Il secondo nodo è la bilancia dei servizi, che continua a drenare valuta per i costi legati a viaggi, trasporti e servizi finanziari. Infine, il reddito primario resta negativo: gli interessi sul debito e i dividendi rimpatriati superano di gran lunga le entrate degli investimenti argentini all’estero.
Il Fondo Monetario Internazionale ha riconosciuto i progressi fiscali del governo Milei, ma ha evidenziato il mancato raggiungimento degli obiettivi sulle riserve valutarie, ridotte a causa delle vendite di dollari operate dalla Banca Centrale per difendere il cambio.
Washington corre in aiuto di Buenos Aires
Il Tesoro americano, guidato da Scott Bessent, ha confermato il sostegno a Milei:
“Non permetteremo che un disequilibrio di mercato metta a rischio le riforme economiche in corso in Argentina.”
Gli Stati Uniti hanno quindi riattivato l’Exchange Stabilization Fund, già utilizzato nel 1995 per sostenere il Messico. L’intervento si inserisce in una strategia geopolitica più ampia, volta a ridurre l’influenza cinese in Sudamerica.
Buenos Aires dispone infatti anche di una linea di swap con la People’s Bank of China da 18 miliardi di dollari, ma solo 5 risultano effettivamente attivi. Washington punta così a riconquistare un ruolo centrale nel sostegno economico argentino, con un occhio alle riserve di litio e ai minerali critici del Paese.
Una bilancia dei pagamenti ancora in bilico
Il nodo cruciale resta la bilancia dei pagamenti. Nei prossimi tre anni l’Argentina dovrà affrontare scadenze per oltre 45 miliardi di dollari, di cui 15 destinati al FMI. Senza un consistente surplus commerciale o nuovi investimenti esteri, il rischio è quello di un circolo vizioso: ogni crisi porta a un nuovo intervento esterno che, a sua volta, aumenta il debito e frena il riequilibrio.
Il presidente Milei incontrerà Donald Trump il 14 ottobre alla Casa Bianca, con l’obiettivo di rafforzare l’asse politico ed economico tra i due Paesi. Tuttavia, l’aiuto americano potrebbe rivelarsi solo una tregua temporanea. La stabilità del peso e il futuro delle riforme di Milei dipenderanno dalla capacità dell’Argentina di ritrovare equilibrio e fiducia nei propri fondamentali economici.
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