di Francesco Gambino
Il nuovo libro di Gabriella Guidi, Limousine per nove. Poesie, racconti e immagini (Discendo Agitur, Roma, 2021) offre al lettore un singolare intreccio di spazi simbolici – poesie, racconti e disegni – dove le parole, le narrazioni, le immagini sembrano raccogliersi sotto una stessa dimora, unite, come scrive l’Autrice, dal «filo rosso delle inquiete domande» rivolte alla storia, all’esistenza umana, al volto sfigurato del mondo contemporaneo.
Si anima, in una scrittura fluida e ariosa, sempre esortata dalla ricerca del senso più compiuto e meno visibile della realtà, un nuovo modo di rapportarsi al mondo. È uno sguardo che cade, non sulla proprietà degli oggetti, ma sulla forma più autentica e originaria del loro apparire e venire ad esistenza; e che mostra, nel fluire di prospettive e piani di ricerca, l’evidenza dei significati delle cose, da quelli omessi o taciuti a quelli più reconditi e nascosti.
Sotto questa nuova luce, la società digitale, abitata da blog, social network, messaggi, appare come una macchina produttrice di «linguaggi incastrati in diaframmi» e di «aborti di sentimenti», mentre il «tocco dei tasti», che oggi riempie le abitudini dell’homo digitalis, richiama la traccia, insieme primitiva e psichica, di «un gutturale brusio delle caverne» (come si legge nella poesia Si aggrovigliano pensieri e parole). Nulla oggi è più ardito e temerario che l’uso di una penna che, «ignorando i neri ordini del computer», «libera pensieri, inventa e spazia» (Strumenti); che sosta riflessiva sulla «voce dei pensieri segreti» (Esistere) e che prende senso nella finalità di generare parole. Sono quelle parole che soffrono, sperano, cantano e che si fanno intorno a noi «nido e calore» (La parola), rivelando un significato sottostante, il più libero e genuino.
È in questo nuovo spazio che l’esistenza si trasforma in «possibilità di tempo vivo, tempo che rinasce» diventando, in questa impetuosa rinascita, un flusso ritmato di coscienza che senza più argini oltrepassa e trascina con sé la quotidianità (Troppe cose, Dimmi del silenzio, Perdonateci sogni, La sfera), la storia (Ragazza di Teheran, Berlino Est, Westminster, Orme, Gheddafi 2011), le religioni e la spiritualità (Ho cercato un dio, In Pakistan, Incontrami, Incontrare il profeta).
C’è un perché esistenziale e universale che – come nella precedente e vasta produzione letteraria di Gabriella Guidi – motiva il lavoro poetico e narrativo dell’A., tutto proteso, nella libera invenzione di nuovi strumenti espressivi, a modificare i propri rapporti con il mondo, a costituire su di esso nuovi valori, a imprimere una nuova direzione alle cose che ci stanno «contro e intorno». È il lato sociale di quell’azione secondaria, propria della letteratura morale e problematica, che Jean-Paul Sartre definiva «azione per disvelamento», nella piena consapevolezza che svelare significa cambiare e «che non si può disvelare se non divisando di cambiare».
È un libro che dal regno dell’exis, in cui si interroga l’opacità del reale ed il senso di disorientamento prodotto dal mondo, si spinge e inoltra sin dentro il regno della praxis. Qui, varcato il confine, si fa strada la faticosa azione della parola che, immersa nella storia, l’Autrice esercita sulla storia nel proposito di condizionarne gli esiti e di sorprendere il domani.
* Recensione apparsa sulle pagine di Leussein, Rivista di Studi Umanistici, 2021, vol. XIV.
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